Mostra, Passione Volante

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Mostra, Passione Volante

Mostra, Passione Volante

4 luglio | 31 ottobre 2018 – Passione Volante: una spettacolare mostra che prende spunto dall’esposizione di oltre 100 volanti di Formula 1 appartenuti a campioni come Ayrton Senna, Alain Prost, Michael Schumacher.

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Meno male che c’è ancora! Il volante, s’intende. Forse unico e ultimo baluardo di una tradizione: nel senso che l’industria dell’automobile, sempre lesta a sfruttare lo sviluppo della tecnologia, beh, tutto o quasi ha cambiato, all’interno di una vettura! Proviamo a pensarci, un po’ cedendo al fascino seducente della nostalgia. Chi se le ricorda più, le manovelle che servivano per abbassare i finestrini nelle giornate troppo calde? E non è forse vero che la popolarità crescente del cambio automatico ha sottratto all’autista il brivido della cloche, la leva per passare dalla seconda alla terza? Che fine ha fatto il pedale della frizione? Ormai su molti modelli persino i tergicristalli si azionano in automatico, alla prima goccia di pioggia…
Per carità, qui non si tratta di contestare il progresso. E però e per fortuna, meno male che il volante c’è ancora. Sta lì, sia pure nella sua sofisticata modernità, quasi a rappresentare l’estrema connessione ‘fisica’ tra l’essere umano e il mezzo meccanico. Persino sulle macchine ‘driverless’, a guida autonoma, governate dai software, quell’oggetto, il nostro caro amatissimo volante, resterà, resisterà, sopravviverà.
Non è un caso, allora, che il Museo Nicolis, uno scrigno di passione e di cultura (in sintesi: oltre duecento auto d’epoca, centocinque moto, cinquecento macchine fotografiche, centoventi biciclette, cento macchine per scrivere, centoventi biciclette), abbia scelto di dedicare uno spazio espositivo al più fedele amico dell’Uomo Che Guida, dell’uomo che si mette idealmente in viaggio alla ricerca di una emozione da ricordare, di una avventura da custodire, di un mistero da svelare.
“Adelante, adelante/ c’è un uomo al volante/ ha due occhi che sembra un diavolo…” (Francesco De Gregori).

Era tutto già scritto

All’alba del Novecento, il secolo Breve, il profeta del futurismo, Filippo Tommaso Marinetti, aveva scritto nel suo Manifesto parole che la mostra del Museo Nicolis ben potrebbe selezionare come messaggio, come slogan, come simbolo del progetto. Eccole: “Noi vogliamo inneggiare all’uomo che tiene il volante, la cui asta ideale attraversa la Terra lanciata a corsa, essa pure, sul circuito della sua orbita”. Da Marinetti il futurista a De Gregori il cantautore, un filo sottile ci accompagna, attraversando il tempo. Il Volante, usiamo pure la maiuscola, è diventato un simbolo, si è trasformato in metafora. Dell’uomo politico che guida una nazione si dice che ne sta al volante, così come la stessa immagine viene buona per il capitano d’industria o per l’allenatore di una squadra di calcio.
Il Volante, insomma, è un sintomo di responsabilità. Saperlo accarezzare, nella maniera giusta, è una indicazione di autorevolezza, è un segnale di consapevolezza, è una testimonianza di maturità. Del resto, alla rovescia, cosa stava mai ad indicare il motto (sessista, ca va sans dir) “donna al volante/pericolo costante”? Non era, anche quello, sia pure in maniera volgarmente sbagliata, un modo proprio della (in)cultura popolare per riaffermare il valore assoluto del volante?
Chissà se aveva in mente tutto questo il mitico Benz, quando nel 1886 costruì la Velociped, da ammirare al Museo Nicolis, un oggetto pionieristico, che aveva una specie di timone agganciato alla ruota anteriore.  Magari Benz pensava a Ulisse, gli serviva appunto un timoniere per raggiungere la spaventosa velocità di sedici chilometri all’ora!
Eppure, era già tutto scritto. Passando attraverso sperimentazioni audaci, da apprezzare lungo il percorso museale di Nicolis: la Locomobile del 1900 aveva uno sterzo a barra, la Oldsmobile del 1903 la si governava tramite una leva a coda di bue. Marinetti l’aveva capito: l’asta ideale doveva essere il volante, per catapultare l’uomo nella dimensione esoterica dell’avvenire.
“Io al volante affido la mia vita, ad ogni gara. E’ come un minuscolo angelo custode, per me” (Juan Manuel Fangio, cinque volte campione del mondo di Formula Uno).

Le mani di Teresa ( e di James Bond )

Già, Fangio. Il Campionissimo della Pampa, il detentore di un record, quello della cinquina iridata, che soltanto un certo Michael Schumacher sarebbe stato in grado di battere. Ma un viaggio tra le perle del Museo Nicolis ci aiuta anche, proprio tramite Fangio!, a superare quel pregiudizio già evocato, quel fastidioso accostamento tra la donna al volante e il pericolo costante.
Non è necessario essere devoti alla suggestione del politically correct. Basta guardare, invece, la Maserati 250 F, monoposto leggendaria degli anni Cinquanta del secolo scorso. Con quella macchina, Fangio volava. Ma su quel volante si posarono anche le mani di Maria Teresa De Filippis. Una signorina audace che di mestiere faceva il pilota e lo faceva senza avere nulla da invidiare ai colleghi maschi. A lei dobbiamo la liquidazione definitiva di un preconcetto odioso. Teresina, come la chiamavano affettuosamente i contemporanei, era una pioniera e in fondo con un pizzico di fantasia potremmo persino supporre siano state le sue imprese a suggerire agli sceneggiatori di ‘007’ quella scena sulla Costa Azzurra, sulla Corniche, in cui si vede un James Bond (impersonato dal bravissimo Pierce Brosnan) accettare la…sconfitta, lui a bordo della Aston Martin, a cospetto di una Ferrari guidata da una donna…
“Alla fine di ogni edizione del Gran Premio di Montecarlo, con tutte quelle curve e tutte quelle cambiate da effettuare, avevo le mani piagate e avrei pagato di tasca mia pur di avere un volante più morbido!” (Clay Regazzoni).

Il coraggio di Arturo

Naturalmente anche in materia di volante l’evoluzione tecnologica ha lasciato il segno, realizzando il sogno di Clay Regazzoni, asso della Ferrari negli anni Settanta. Le creazioni di Momo, Personal e Fondmetal hanno inciso profondamente sulle caratteristiche dell’oggetto, anzi tutto in funzione delle auto da competizione (ma non solo, ci mancherebbe).
La mostra del museo Nicolis, con oltre un centinaio di ‘pezzi’ in esposizione, molti ‘tratti’ da monoposto di Formula Uno, altri da vetture GT, ha il fascino di una rievocazione che esalta la relazione tra le mani e l’automobile, le mani che trasmettono alla macchina gli impulsi del cervello, in una contaminazione tra gestualità e pensiero.
Già, il pensiero nobile che attraversò la mente di Arturo Merzario in una domenica d’estate al Nurburgring del 1976. Quando un incrocio di destini culminò in una drammatica collisione di sentimenti. Merzario, ottimo pilota di scuola italiana, era stato allontanato dalla Ferrari per cedere il posto a Niki Lauda. I due non si amavano, come si conviene a rivali di pista.
Ad un certo punto di quel Gran Premio di Germania, la Rossa del campione austriaco si schiantò contro le rocce del Ring e prese fuoco. Lauda, ancora cosciente, non era in grado di uscire dall’abitacolo. Sarebbe morto orrendamente tra le fiamme, il povero Niki, se proprio Merzario, arrivando in zona con la sua vettura, non avesse preso la decisione che salvò una vita.
Arturo si fermò. Staccò il volante. Si precipitò in mezzo al rogo e sottrasse Lauda ad una fine crudele. Quel volante ‘staccato’ apre la mostra del Nicolis. E’ un pezzo di Storia, la Storia che torna a ricordarci come l’automobilismo sia di più, molto di più di una semplice contesa a trecento all’ora.
“Quando appoggio le mie mani sul volante entro in una dimensione diversa, mi rendo conto che sto per fare quello che ho sempre sognato di fare” (Ayrton Senna).

Datemi una leva e vi solleverò il mondo

Oggi, nel millennio nuovo, la macchina che abbiamo in garage ci offre un volante che certo non serve soltanto per sterzare le ruote. E’ come se avessimo a disposizione un computer in versione touch, altro che. Un software per sentirci padroni. Pulsanti e pulsantini, leve e levette  appaiono davanti al nostro sguardo. Possiamo cambiare la stazione radiofonica, alzare o abbassare il volume, attivare il telefono cellullare, regolare il climatizzatore, eccetera. Tutto senza staccare mai le mani da quello strumento che ci lega istintivamente al progetto di mobilità che abbiamo nella mente.
Datemi una leva e vi solleverò il mondo, pare abbia detto un giorno il leggendario Archimede. Pare non avesse necessariamente in mente l’automobile, eppure non è forse così? Non hanno, queste leve e levette, modificato in maniera irreversibile il modo di essere pilota, non importa se da corsa o meno?
Nell’universo dei Gran Premi, la Grande Rivoluzione ipotizzata dall’ingegner Archimede fu introdotta dalla Ferrari. Correva l’anno 1989 e in Brasile, sul circuito di Jacarepaguà, nei paraggi di Rio de Janeiro, stava per iniziare la stagione iridata. La Rossa presenta il modello F1-89. Disegnato dal progettista britannico John Barnard, sfrutta una vecchia idea di Mauro Forghieri, per un quarto di secolo partner del Drake di Maranello in veste di responsabile del reparto corse. Forghieri aveva preparato una vettura senza la cloche per il cambio: per inserire le marce, il driver avrebbe semplicemente utilizzato due alette collocate dietro il volante. La geniale soluzione era stata ‘congelata’ da Gilles Villeneuve: il mitico campione canadese non pensava che i tempi fossero maturi, nel 1982, per una simile svolta.
Ma nel 1989 il futuro bussava alle porte e quel volante ‘alieno’, il volante di Archimede, era pronto per l’impatto con la realtà. Il museo Nicolis ce l’ha, quel reperto magico. Proviene dalla Ferrari di Nigel Mansell, che contro ogni pronostico trionfò al debutto, in una felicissima domenica brasiliana. A Mansell, pirotecnico guerriero delle piste, forse nessuno l’ha mai spiegato: c’era il genio di Archimede, dietro e dentro la sua impresa.

Alberto Sordi e i contrabbandieri

Ah, quanti frammenti di memoria si sommano e si sovrappongono, quanti momenti di esperienze sparse si possono ritrovare, nei dintorni di un volante! Se solo potesse parlare, ad esempio, il volante della Lancia Astura Sport MM del 1938, sicuro che ne sentiremmo delle belle. Ma anche delle brutte: realizzata per un asso come Gigi Villoresi, quella macchina era finita, dopo mille peripezie, nelle mani (sempre le mani, le mani che sono, a modo loro, lo specchio dell’anima nostra) di contrabbandieri svizzeri, che la stipavano di orologi preziosi per traffici molto redditizi. Poi era scomparsa, dispersa in un deposito, dove felicemente Luciano Nicolis la recuperò, donandole esistenza nuova, salvando dall’anonimato un modello unico, mai replicato.
E come sarebbe bello se avesse voce il volante della Maserati 3500 GT del 1960, esteticamente valorizzata dalle linee di Vignale! Una macchina che appartiene alla storia del grande cinema italiano, perché Dino Risi la volle sul set del suo capolavoro, ‘Una vita difficile’, film sublimato da quella che forse è stata la più grande interpretazione di Alberto Sordi. E quanti segreti deve custodire il volante della Ferrari GTE del 1963: la prima “2+2” di serie della azienda del Cavallino, un gioiello che in sede di progettazione tante complicazioni creò a chi l’aveva ideata. Alla fine, però, la creatura si mostrò all’altezza delle aspettative, trasformando le perplessità in entusiastiche accoglienze.

Se solo Schumi potesse…

“Passione Volante”, tra tante perle, propone anche un triplo omaggio a Michael Schumacher, il Campionissimo sette volte iridato di Formula Uno.
Tre suoi volanti, risalenti al periodo in cui il tedesco correva per la Benetton, sono parte del percorso museale.
Osservarli da vicini, è praticamente impossibile sottrarsi alla malinconia. Li guardi, ripensi a quelle mani perfette che tutto sapevano fare con lo strumento, perché già nei giorni gloriosi di Schumi il pilota era ormai un musicista, che dal volante doveva estrasse il suono migliore, la melodia pulita, l’armonia perfetta.
Ragioni così nel silenzio dell’emozione e ti viene in mente il sogno del cuore. Eh, se solo Schumi potesse tornare ad accarezzarli, quei tre volanti.

L’ultimo del professore

Nel 1993 Alain Prost conquistò il suo quarto titolo mondiale in Formula Uno. Il francese era tornato alle corse dopo un anno di pausa e aveva scelto la Williams Renault per andare a caccia della ennesima consacrazione iridata. Il museo Nicolis ospita quello che fu l’ultimo volante del Professore: così era chiamato l’ex ferrarista, protagonista di una rivalità affascinante e drammatica con Ayrton Senna. Quando Prost concluse il Gran Premio d’Australia di quella stagione, la stagione del 1993, aspettò un attimo prima di ‘staccare’ il volante dalla monoposto. “Mi rendevo conto in quell’istante -avrebbe poi raccontato Alain- che un piccolo gesto esauriva una lunga parentesi della mia vita: avevo infatti deciso di abbandonare le corse per sempre”. Prost mantenne la parola.

L’autista dell’Imperatore

Ukyo Katayama non è entrato nel Pantheon dei grandi drivers che hanno fatto la storia della Formula Uno. Eppure questo pilota giapponese ha sentito le mani tremargli non quando è stato nell’abitacolo della Tyrrel (due suoi volanti, datati 1994 e 1995, sono presenti in mostra), bensì nella circostanza in cui si vide affidare, sul circuito di Suzuka, il compito di portare…in giro i discendenti della famiglia imperiale nipponica, recatisi in visita alla pista della Honda. Pare che ‘quel’ volante sia ancora bagnato di sudore!

I figlio d’arte

L’automobilismo ha una sua tradizione dinastica, sin dall’epoca remota e gloriosa di Antonio e Ciccio Ascari, padre e figlio uniti da un tragico destino, entrambi vittime della passione per la velocità. In tempi più recenti, eredi illustri come Jacques Villeneuve e Nico Rosberg sono saliti sul trono riservato al campione del mondo di Formula Uno. Ma il primo figlio d’arte ad eguagliare l’impresa paterna fu, con la Williams nel 1996, il britannico Damon Hill, rampollo del leggendario Graham. Naturalmente, il volante di Hill junior fa parte della mostra del museo Nicolis.

Il volante del Duce

La Fiat 1500C Bertone del 1941, presente all’interno del museo, ha un particolare valore storico. L’automobile venne realizzata quando già l’Italia era coinvolta nella tragedia della Seconda Guerra Mondiale: fu uno degli ultimi prodotti industriali dell’era fascista prima della catastrofe dell’8 settembre 1943 e probabilmente Benito Mussolini, che la volle guidare, non ebbe più modo di ‘toccare’ un volante nella sua veste di Duce e Maresciallo dell’Impero.

Lo sterzo di Monica

Delahaye 135 M. Una vettura che anticipò, addirittura nel 1939!, l’innovazione del futuribile cambio sequenziale, un gioiello elettromagnetico che era frutto della visionaria intuizione dei progettisti francesi. Il modello è stato restituito alla attenzione dei contemporanei da una pellicola del 2008: su questa macchina è salita Monica Bellucci, insieme a Luca Zingaretti (il popolarissimo commissario Montalbano della serie televisiva della Rai), nel film ‘Sanguepazzo’ del regista Marco Tullio Giordana.

Caccia al ladro?

Narra la leggenda che qualcuno tentò di rubare, alla stregua di un preziosissimo cimelio, il volante che Jean Alesi utilizzò nel 1991 a Montreal, in Canada, per vincere l’unico Gran Premio della sua bella e sfortunata carriera. Idolo dei ferraristi per cinque stagioni, il francese di origini siciliane non ottenne quanto avrebbe meritato per il suo talento e per il suo coraggio. Ma quel volante non è mai sparito, è in esposizione al museo Nicolis e non c’è bisogno di attivare la…Caccia al ladro che rese celebre una autista speciale ed irripetibile come Grace Kelly nel celebre film.

Il ladro di Glasgow

Pochi sanno che la Lotus, mitica scuderia britannica di Formula Uno, affidava la scelta della conformazione dei volanti delle sue monoposto al fondatore della scuderia, il pittoresco Colin Chapman. Geniale appassionato di corse, Chapman aveva conquistato anche la stima di Enzo Ferrari, il suo grande rivale italiano. Morì, si dice, nel 1982: ma qualcuno non ci ha mai creduto, sospettandolo di essere sparito per godersi finalmente i frutti della rapina al treno di Glasgow, cui avrebbe partecipato negli anni Sessanta. Leggende metropolitane, mentre invece è vero che alla sua creatività sono dedicati i due volanti usati da Mika Hakkinen quando correva per il marchio della Lotus, tra il 1991 e il 1992.

L’amico di Ronnie

Michele Alboreto, ultimo pilota italiano scelto da Enzo Ferrari per le sue monoposto, è ricordato nella mostra del Museo Nicolis da ben quattro esemplari di volante. Il pilota lombardo era cresciuto nel mito di Ronnie Peterson, driver svedese di grande talento, mai diventato campione del mondo ma da tutti rispettato per il suo coraggio. Alboreto aveva studiato il modo in cui il suo idolo Ronnie impugnava il volante e ne aveva copiato le soluzioni.

Caro Elio

15 agosto 1982. Un epilogo incredibile si consuma sul tracciato di Zeltweg, teatro del Gran Premio d’Austria di Formula Uno. Piombano sul traguardo due monoposto perfettamente appaiate. Soltanto il fotofinish, per una questione di centimetri tradotti in millesimi di secondo, le dividerà. La vittoria viene assegnata alla Lotus dell’italiano Elio De Angelis, che così beffa di un niente la Williams del finlandese Keke Rosberg. Il volante di quella impresa del pilota romano, ucciso da un incidente nel 1986 durante i test privati con la Brabham sul circuito del Castellet in Francia, non poteva mancare nella mostra del Museo Nicolis.

Dustin & Duetto

Tra i tanti volanti di Alfa Gran Turismo presenti sul palcoscenico del Museo Nicolis è possibile cogliere l’ispirazione che portò alla realizzazione della parte frontale interno del celeberrimo Duetto. La macchina del Biscione è rimasta nella memoria collettiva per merito anche di Dustin Hoffman, che volle quel modello per un film, ‘Il laureato’, destinato ad un enorme successo sia in termini commerciali che come valenza simbolica di un’era di cambiamento socio-culturale.

Dopo Ayrton

L’1 maggio 1994 la Formula Uno perdeva il suo Mito assoluto. Uno schianto terribile sul circuito di Imola costava la vita ad Ayrton Senna. Per sostituire in pista il Campionissimo brasiliano, la scuderia Williams scelse un promettente pilota scozzese, David Coulthard. In mostra c’è il volante utilizzato dal britannico per il suo esordio.

Il ruggito del leone

Dopo un inseguimento durato oltre dieci anni, nel 1992 Nigel Mansell si laurea campione del mondo. Conquista matematicamente il titolo, a bordo di una Williams motorizzata Renault, sul tracciato dell’Hungaroring, alle porte di Budapest. La mostra del Nicolis propone il volante che permise al Leone dell’Isola di Man la realizzazione del sogno tanto agognato.

Addio, Ciccio

La Ferrari 750 Monza rappresenta una delle espressioni più alte della ingegneristica italiana applicata alle corse durante gli anni Cinquanta. E’ anche l’ultima automobile sulla quale è salito Ciccio Ascari: il due volte campione del mondo di Formula Uno morì in un misterioso incidente, proprio sul circuito di Monza, in occasione di una serie di prove private.

Grand Prix

Non sempre i tentativi di trasformare le emozioni delle corse in emozioni cinematografiche sono stati salutati da successo: troppo difficile, forse, trasferire la realtà sul piano inclinato della finzione artistica. ‘Grand Prix’, pellicola del 1966, viene ancora oggi considerato il prodotto meglio riuscito. Da quel film arriva al Nicolis la Bugatti Tipo 49 del 1931, ultimo modello progettato dal fondatore Ettore.

La Fiat di Umberto

Pochi ne sono a conoscenza, eppure Umberto Agnelli, il fratello dell’Avvocato, presidente di Fiat fino alla morte nel 2004, in gioventù si era divertito a partecipare ad alcune corse in veste di pilota. I modelli da lui preferiti uscivano dalla fabbrica di Torino e venivano rielaborati a Modena dalla famiglia Stanguellini, come la Fiat 1100 Sport Motto del 1948, presente anche alla Mille Miglia di quell’anno.

La grande bellezza

Meglio dirlo subito. E’ quasi impossibile scegliere, tra le tante automobili che come opere d’arte fanno luccicare gli occhi sotto il tetto del Museo Nicolis. La Grande Bellezza della meccanica che si trasforma in suggestione ha il fascino dell’incantamento. Ma proviamoci, per gioco e per amore. Proviamo a selezionare dieci di questi capolavori rombanti, abbinando ad ognuna delle vetture un personaggio conosciuto, in un intreccio di sensazioni che mescolano la storia e la cultura, la tradizione e la passione. Pronti? Via.

  1. Ford Thunderbird Convertibile. 1955. Pilota ideale: Bruce Springsteen, il menestrello del rock, l’uomo di Born to Run, nato per correre. E’ persino troppo facile immaginarlo al volante della Thunderbird, lanciato all’inseguimento della libertà tra le mille contraddizioni di una America che continueremo ad amare ed ad odiare anche grazie alle sue meravigliose canzoni.
  2. Itala Tipo 50 25/35 hp Torpedo. 1920. Pilota ideale: Enzo Ferrari. Non stupitevi dell’accostamento tra il mezzo e il driver. Subito dopo le cruente convulsioni della Prima Guerra Mondiale, il futuro Drake di Maranello voleva essere un campione delle corse. Era affascinato dalla tecnologia italiana dell’epoca. E questa Itala aveva tutto per piacergli.
  3. Lancia Fulvia 1300 S Coupè. 1976Pilota ideale: Mogol. Inizialmente noto all’anagrafe come Giulio Rapetti, Mogol ha scritto i testi delle più belle canzoni italiane del Novecento, da Emozioni a Il mio canto libero, fino a L’Emozione non ha voce. E a lui dobbiamo anche i versi di Sì viaggiare, inno da strada del leggendario Lucio Battisti. Pare che ‘quel gran genio del mio amico’, protagonista del brano, ‘con le mani sporche d’olio’ lavorasse proprio su questa Lancia.
  4. De Lorean Dmc 12 coupè. 1981Pilota ideale: Michael J. Fox. Ci sono film che rimangono nella memoria collettiva, persino al di là del valore artistico dell’opera. Così è stato per la serie di ‘Ritorno al futuro’: era una De Lorean l’automobile che permetteva al protagonista, l’attore americano Michael J. Fox, di viaggiare nel tempo. Era proprio la Dmc 12. E se non fosse soltanto una illusione?
  5. Matra Bagheera 2 Coupè. 1974Pilota ideale: Alain Delon. Un gioiello francese, una soluzione perfetta per una gita notturna sulle strade della Costa Azzurra sotto un tetto coperto di stelle. Siamo negli Anni Settanta e Alain Delon, bel tenebroso idolo di generazioni di donne, sta correndo per non mancare ad un appuntamento con Romy Schneider, in un tripudio sfrenato di carnali emozioni.
  6. Maserati Indy 4900. 1973Pilota ideale: Mario Andretti. L’indistruttibile forza del marchio del Tridente: pochi ne hanno memoria, ma soltanto Maserati, tra le case italiane, ha vinto la 500 Miglia di Indianapolis e allora è giusto affidare il volante di questa Indy4900 all’unico italiano d’origine, l’istriano Mario Andretti, primo sotto la bandiera a scacchi nel più famoso circuito ovale del pianeta.
  7. Fiat 500 R. 1975Pilota ideale: Luca Cordero di Montezemolo. Una riedizione del ‘Come eravamo’, un tuffo in una Italia in bianco e nero, forse ancora capace di coltivare grandi speranze. Nel 1975 il giovane avvocato Montezemolo, allora direttore sportivo della Ferrari, usava la 500 R per spostarsi dalla casa di Modena agli uffici di Maranello.
  8. Alfa Romeo RM La Zagato. 1925Pilota ideale: Benito Mussolini. Narra la leggenda che il Duce fosse al volante di questa macchina, nei paraggi di Roma, quando un’altra automobile osò sorpassarlo. Il capo del governo se la prese moltissimo e ordinò di multare il reprobo: ma quando scoprì che si trattava del suo calciatore preferito, Fulvio Bernardini, si rimangiò il provvedimento. E imparò a guidare meglio La Zagato.
  9. Aventure. Vettura a pedali. 1882Pilota ideale: Vincenzo Nibali. Il progetto già c’era, il telaio anche, lo sterzo o manubrio che fosse anche. In attesa di una motore vero, questa ‘macchina’ andava spinta mulinando le gambe. E chi meglio del siciliano vincitore di Giro, Tour e Vuelta potrebbe prestarsi alla bisogna?
  10. Lamborghini Espada 400 Gt. Bertone Coupè. 1969Pilota ideale Neil Armstrong. Nel 1969, anno in cui dalle officine di Santa Agata Bolognese esce questa creatura, il primo uomo posa piede sulla luna. Si chiama Neil Armstrong e successivamente farà parte del consiglio di amministrazione della Chrysler, contribuendo con i suoi consigli all’acquisto del marchio del Toro da parte della casa statunitense. Al ‘First Man’ le Lamborghini piacevano molto.

Leo Turrini

COMUNICATO STAMPA della Mostra
Intervista a Leo Turrini, L’Arena
Inaugurazione, taglio del nastro 
Video Mostra Passione Volante

Si ringrazia per le foto: Ivano Mercanzin, Giancarlo Comparotto, Marco Bravi, Stefano Valentino, Angelo Sartori.